mercoledì 17 settembre 2008

La solitudine dei numeri primi #2

Dicevo del libro di Giordano, che non vuole essere un capro espiatorio per poter parlare male dei lettori medi e dei libri così così. Cosa che farei anche volentieri, ma non qui, che non c'è molto spazio.
Il problema, secondo me, sta nella legittimazione della scrittura da poco, da cui parte tutto quanto: i premi letterari fasulli, i clamori incomprensibili, la pubblicità insinuante, il passaparola veloce, il lettore da ipermercato e, infine, le vendite. Non sono così convinta che la mediocrità sia in tutti incisa nel DNA. C'è chi è mediocre per essenza, ma chi anche per semplice induzione o pigrizia. Penso, invece, che se venisse dato più spazio alla qualità (in questo caso editoriale), la gente non sarebbe così fessa da farsi prendere dall'entusiasmo per un libercolo qualunque.
Detto ciò, per lavoro mi è capitato di dover recensire dei manoscritti inediti per un'agenzia letteraria, ed è stato un lavoraccio: primo, perché ormai scrivono cani e porci, con risultati – a mio vedere – pessimi; secondo, perché non credo di essere ancora in grado di discernere le potenzialità di uno scritto "da classifica", che senza dubbio non possono limitarsi solo alla scorrevolezza del testo.
Per fortuna ci sono i bei libri, e a culo tutto il resto.


venerdì 12 settembre 2008

La solitudine dei numeri primi

Considerando il fatto che qui, nella casa di Hilde, non ho libri nuovi e considerando pure che qui, nell’amena Ovadacity, non esiste una libreria, vado a cercarmi qualcosa da leggere al Bennet di Belforte (detto anche il “Bennet grande”).
Non sto a riflettere sull’affascinante non-logica che circonda il reparto libreria di un ipermercato, e così mi fiondo sui volumi della hit-parade – i libri “da letto” – esposti vicino a grandi numeroni adesivi. Opto per il numero 2, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Il motivo è uno solo: tutte le persone di mia conoscenza che l’han letto lo hanno definito “scorrevole”, ed è quello che ci vuole ora.
Il libro non ha niente che non vada, è davvero scorrevole nel senso che scivola via come le pagine di una rivista, lasciando quella sensazione di lettura di passaggio, innocua.
Lo scrittore è giovane, 25 anni, e questo è il suo primo romanzo; eppure vince il Premio Strega ed è uno dei libri più letti dell’ultimo anno, in classifica da gennaio.
Mi chiedo allora che pubblico ci sia fuori di qui, quali sono i nuovi lettori e cosa vogliono quando vanno a comprare un libro. Ma cosa volete?

mercoledì 10 settembre 2008

I sassi (non quelli di Matera)

Anche oggi non c'è, e non c'è nemmeno quello che dovrebbe darti da mangiare e aiutarti ad abbellire quella casa o a comprarti la giacca vista ora su Grazia.
E' di Armani (Emporio, però) e pare che non costi così tanto per essere una giacca di Armani (anche se è Emporio): 270 euro. Si potrebbe anche fare.
Ma poi dove vai con quella giacca?
C'è un sasso che sta esplodendo sotto le costole, come se il corpo sapesse cosa è meglio fare (quello che non si è mai fatto).
Ancora nel letto, il cane che puzza e russa lì sotto; vorrebbe essere con te e pensare che comprare quella giacca potrebbe anche avere un senso.
Il 23 il sasso non ci sarà più, quindi c'è ancora un po' di tempo.

domenica 7 settembre 2008

Non classificato

Mentre aspetto nuovamente il mio premio di consolazione, mi affido alle parole di Jean-Claude Izzo, visto che io sono rimasta senza. Qui son quelle di un racconto inedito scritto per la rivista Regards, n. 19, dicembre 1996: “La cena di Natale di Fabio Montale, l’ex sbirro dei quartieri Nord di Marsiglia”.

«Passerà» dissi a Fonfon raddrizzandomi.
Lasciai vagare il mio sguardo sul mare. Verso l’orizzonte. Non avevo ancora trovato di meglio per dimenticare la schifezza del mondo.
Joëlle alzò gli occhi verso di me. Aveva occhi neri, splendidi. Avrei potuto essere un buon padre per lei? Oppure un bravo amante? Sarei riuscito a spiegarle la paura? Mossi la testa. Come per dire sì.
Sì, Joëlle. Più si va in fondo alle cose e più la differenza fra felicità e infelicità si attenua.
Sì, forse questo sarei riuscito a spiegarglielo.
Vuotai il bicchiere tutto d’un fiato e mi alzai. Avevo voglia di andare a perdermi dentro Marsiglia. Nei suoi odori. Negli occhi delle sue donne.
La mia città. Sapevo che lì avevo sempre appuntamento con la felicità effimera degli esuli. La sola che mi andava bene. Un vero premio di consolazione.