giovedì 26 novembre 2009

V

Matt Tyrnauer, giornalista di Vanity Fair, segue Valentino per 250 ore nel suo ultimo anno di attività, lo riprende in una specie di "dietro le quinte" che in realtà è sempre, e comunque, già palcoscenico e ne viene fuori un film che mi piacerebbe definire "mitico", non fosse che ormai questa parola richiama più gli anni '80 che l'antica Roma.
Un film-documentario bellissimo su quell'uomo celebrato in tutto il mondo per un'arte affascinante che mescola insieme ingegno cretivo, estetica pura ed esperienza concreta, tattile e visiva.
La storia di una corte di lavoratori che ha deciso di dedicare la propria vita a lui, volubile, capriccioso, inconsapevolmente ironico e anche molto divertente ("A Valentino non piacciono i corrimano", in fondo).
Dietro i meccanismi cinici e moderni di chi fa girare i soldi (Matteo Marzotto ne esce schiacciato e un po' ridicolizzato, per fortuna), c'è Valentino, a un tavolo a fare gli schizzi di opere d'arte su un foglio (le opere che, come si dice nel film, non sono la vera fonte di introito per l'Azienda), con le sue sarte, che ormai lo capiscono con poche parole, con Giammetti, vassallo devoto e indispensabile.
Un vero sfolgorante Hadrien.

martedì 24 novembre 2009

Guy and Madeline on a Park Bench

L'unico film che riesco a vedere del TFF è Guy and Madeline on a Park Bench, di Damien Chazelle, anni 25, opera prima.
Guy è un trombettista jazz e Madeline sta cercando lavoro.
Io, nel mentre, mi contorco sulla poltroncina del cinema nel tentativo di leggere i sottotitoli, posizionati molto in basso rispetto a dove vengono messi di solito.
Per fortuna nel film i dialoghi non sono così fitti. Più che altro ci sono Guy che suona la tromba e Madeline che cerca lavoro.
Così, succede che mi appisolo sulla stessa poltroncina, proprio quando Guy è impegnato in una jazz session e Madeline si sta tagliando i capelli.
Intuisco che c'entrano Cassavetes, la levità del bianco e nero, le improvvisazioni musicali e la vitalità delle scene. Colgo il romanticismo dei personaggi.
Ma ho sonno, e il sonno ha la meglio su tutto.

giovedì 22 ottobre 2009

Una storia d'amore e libertà (ma non è Loach)

Sogno che al cinema Nuovo, a due passi da casa mia, danno l'ultimo film di Ken Loach. Il connubio è perfetto: devo camminare poco e Loach è uno dei miei registi preferiti.
Il giorno dopo propongo ad A., G. e I. di andare a vedere un film che non esiste in una sala che non è in funzione da chissà quanto.
Una volta scoperto l'inganno onirico, rimediamo con Ozon e il suo Ricky.
Il sottotitolo, in fondo, è molto loachano, e non solo quello. Si tratta di un film scomposto, a strati.
Si parte davvero con uno scenario, francesizzato, alla My Name Is Joe: il freddo, la fabbrica (di prodotti chimici tossici), la deriva emotiva, il quotidiano faticoso, la speranza alla porta (Paco, il nuovo amore?).
Poi arriva Ricky e i toni cambiano. Con le sue alette di pollo implumi, non sembra un angelo, ma una creatura bizzarra che un po' fa ridere, un po' fa senso.
E' una falena che non ha spazio per volare, un futuro essere infelice, con poca possibilità di sopravvivenza.
Allora non si ride più. Anzi, il finale è struggente, perché la libertà viene conquistata non certo senza scontare un prezzo alto.
Bello e triste, come una favola cinica e diretta.
Qualche nota sparsa:
- non amo i bambini che recitano (retaggio dei film di Shirley Temple), ma Mélusine Mayance (Lisa) è una meravigliosa bambina che recita;
- il film è tratto dal racconto di Rose Tremain, Moth ("falena");
- alla fine ho pianto, anche perché in sottofondo c'è la voce di Cat Power con The Greatest. E ho detto tutto.

sabato 3 ottobre 2009

Whatever Works

Alla fine del film (ma anche un altro paio di volte durante), Boris Yellnikoff ci dice che è l’amore che deve bastare a funzionare, ma si capisce che intende tutt’altro, visto che Melody gira con confezioni di Viagra in borsa e che, ingenuamente, offre anche a chi è palese che non ne abbia bisogno (ma non si sa mai).
Devo dire che mi ero abituata piacevolmente alla parentesi noir di Allen, al suo espatrio europeo, all’assenza di comici e fastidiosissimi alter ego e di tutte le sue ipocondrie, manie e ossessioni linguistiche e lessicali.
Questa rentrée mi lascia un po’ così. Anche se ammetto di aver riso per tutto il film.

lunedì 31 agosto 2009

Dei ritorni e di altre idiozie

Sì, perché tornare è una gran fregatura celata da ansia di recupero, sforzo di memoria e fine di un'attesa.
Mi riprendo il lavoro, te, la casa, la scrittura della sera, il lavoro, il lavoro, il lavoro.
Niente di che, sono solo ritornata dalle vacanze e sono molto nervosa.

martedì 7 luglio 2009

Vita da ufficio

Uscendo dall'ufficio, oggi, mi sono sentita un po' come Patrick Bateman: una gran voglia di correre a casa, sciacquarmi i denti con il Listerine e poi progettare qualcosa di cruento e spietato per rifarmi degli orrori della giornata.
Alla fine ho solo fatto una doccia.
Bisogna avere la stoffa per diventare dei freddi serial-killer come Bateman e magari uno scenario anni Ottanta senza ombra di crisi economiche.
Le motivazioni, invece, contano poco.

lunedì 29 giugno 2009

Cordialità

Mi impressiona sempre un po' quello strano legame di solidarietà che si instaura tra perfetti sconosciuti nel momento del bisogno.
E' un martedì qualsiasi, se non fosse che sono bloccata all'aeroporto di Fiumicino per un guasto tecnico su Caselle (in realtà è venuto via un pezzo d'asfalto della pista d'atterraggio) e il personale del mio volo low (low) cost non rilascia dichiarazioni sul da farsi.
Seguo la faccia che mi pare più pratica di queste situazioni e mi ritrovo a condividere una strana serata alla stazione Termini, in attesa dell'ultimo treno della giornata.
In pochi minuti una comunanza di sventura diventa un buon motivo per raccontarsi vicendevolmente stralci di vita, sapendo perfettamente che all'arrivo si tornerà ad essere buoni estranei come prima.

domenica 31 maggio 2009

Funzioni vitali

Secondo la nuova pubblicità dell'iPhone esisterebbe una funzione "praticamente per tutto": da quella che ti fa trovare un taxi mentre cammini per le strade di Bombay, al rilevatore del tasso di umidità della tua stanza da bagno, fino al traduttore simultaneo, con tanto di riconoscimento vocale, dal gambese all'italiano.
Posto il fatto che ci siano pure persone così impegnate da doversi destreggiare tra idiomi improbabili e mensole da mettere in bolla (il tutto utilizzando un unico strumento e poco ingegno privato), trovo che questo genere di strategia da supermercato sia veramente sfacciata.
E' la capacità di rendere, agli occhi e alle menti di tanti acquirenti, indispensabile ciò che indispensabile non è, che mi inquieta, anche perché tale filosofia commerciale si sta espandendo a settori dove il profitto non dovrebbe costituire il primo dogma (vedi la Salute).
Se davvero la necessarietà dell'inutile deve diventare la regola, chiedo al signor Apple di impegnarsi a creare funzioni un poco più raffinate, come il generatore di banconote, per quando ti trovi a corto di contante nella tua città, o il prete virtuale, dal quale ti puoi confessare quando hai commesso un peccato, anche piccolo, e ripartire con la coscienza a posto.

martedì 5 maggio 2009

Liberté, Égalité, Ponctualité

L'esser puntuali è solo una prerogativa o è a tutti gli effetti una dote?
E i ritardatari sono manchevoli o semplicemente diversi da chi spacca il minuto?
Il dilemma si impone nei soliti minuti che separano me (donna puntuale) da tutte le altre persone (ritardatarie) con cui di solito ho appuntamento. Fuori dai locali, sotto casa, in auto con il motore acceso, in primavera, estate, autunno e inverno, con la pioggia o con il sole.
La qualità è tale solo se socialmente confermata e condivisa, altrimenti rischia di trasformarsi nel suo contrario o, quantomeno, in un limite per chi la possiede (sono io che aspetto, poi).
Non è colpa delle persone (forse), ma di un tacito consenso partecipato che ha finito per aver la meglio su una buona maniera.
Ma io, reietta in orario, continuerò a battermi strenuamente per la causa.

mercoledì 22 aprile 2009

Compleanno 33

Con i 33 di oggi sono entrata ufficialmente nella fase in cui potrei fare un sacco di cose: la testimonial di un nuovo contorno occhi alla caffeina e guaranà, il leader di un innovativo partito politico, l'amante di un giovane ventitreenne.
Ed è solo l'inizio.

domenica 29 marzo 2009

Chiedimelo ora

A proposito di concerti, ieri sera, nella splendida cornice della movida alto-monferrina (just ironic), decido di andare ad ascoltare due nobili musicisti, Antonio Marangolo al sax e Umberto Petrin al piano, per l’ultimo degli appuntamenti di OvadaJazz09. L’arte del duo.
Il concerto dura un’ora circa ed è assemblato totalmente sull’arte della creazione estemporanea: i due non hanno mai suonato insieme e neppure hanno fatto le prove prima. La musica incombe, invade la sala (siamo nella da poco ristrutturata Loggia di S. Sebastiano) e, come dice Marangolo prima del bis finale – Ask me now di Thelonious Monk –, la fatica dell’improvvisazione si percepisce piacevolmente con occhi e orecchie.
Tutto molto bello, non fosse che…
Non fosse che tutto ciò che non amo di Ovada rigurgita da ogni cavità: il pubblico mesto, ritardatario e attempato, il silenzio del dopo, le strade vuote (poi ieri pioveva, pure), l’evento trasformato in spettacolo di paese, l’anonimia culturale.
Dopo venticinque anni non ho ancora capito se sono le persone a modellare i luoghi che abitano, o se è la geografia di questo spazio, inesorabilmente incuneato, a foggiare la gente che ci vive.
Un plauso dovuto va all’associazione “Due sotto l’ombrello”, che chi si dà da fare e ci crede ancora un po’.

martedì 24 marzo 2009

Little fucker

Non posso non scrivere almeno una breve annotazione sullo spettacolo cui ho assistito venerdì scorso.
Sono allo Spazio 211 con tre amici spaiati, gli unici che per motivi differenti decidono di venire con me stasera a sentire Vic Chesnutt, accompagnato dagli Elf Power.
Siamo in pochi: la mia ansia di anticipare il tempo ci fa arrivare lì molto presto, ma va bene così.
Mentre bevo una birra c'è già lui nel locale.
E' un uomo piccolo, accartocciato, sembra sprovvisto di alcun tipo di difesa su quella carrozzina, e quando gli Elf Power iniziano a suonare, nella prima parte del concerto, lui è accanto a me, di lato. Ascolto e mi volto a guardarlo ripetutamente.
Quando arriva il suo momento di salire sul palco mi accorgo di quanto la potenza della sua voce e della sua musica sia commovente e tenera.
Per magia lui diventa quel piccione della copertina di North Star Deserter: un volo basso, breve, ma pur sempre staccato da terra.

domenica 22 marzo 2009

Acqui Terme-Ovada

Voler stare dove non si è, fare quello che non si fa e aspettare chi non c'è.
Ieri, intorno all'una di notte, scollino allegramente da Acqui Terme a Ovada. Fa un freddo improbabile, che già avevo accantonato con il cambio primaverile di armadio, ma sulla Ka mobile c'è tutto quello che mi serve per desiderare che quel tragitto duri più del dovuto: riscaldamento e "Stereonotte" su Rai Radio 1.
Si parte da due pezzi dal vivo di Rino Gaetano che canto senza vergogna, poi la presentazione del cd live del tour di Cohen 2008: via con la commozione per una struggente "Suzanne" (sono già a Cremolino).
Dovrebbe seguire "So long Marianne", come da annuncio, ma parte invece "Hallelujah" che mi riporta a quest'estate, quando sui cori si accendevano le luci del palco.
A Molare si passa a un'interessante conversazione su John Lennon post Beatles e a come la canzone "Julia", dedicata alla madre, sia anche un omaggio alla sua compagna: in una strofa, infatti, Lennon pronuncia le parole "ocean child", traduzione appunto del nome "Yoko Ono".
Il viaggio finisce davanti alla casa di Hilde, ma posso ritenermi soddisfatta.

martedì 17 marzo 2009

Bonjour tristesse

Qualche settimana fa mi è capitato di leggere un articolo di Vittorino Andreoli sul Corriere della Sera (riportato qui da un altro blogger). Con questo, in tutto fanno due articoli di Vittorino Andreoli letti nella mia vita.
Il primo riguardava la funzione terapeutica delle parolacce nel parlato: ricordo la disquisizione attenta sull’uso delle arrotate, delle doppie, delle consonanti dure, di quanto tutto ciò possa risultare quasi medicamentoso nel contesto di un certo tipo di comunicazione.
Le parole sono importanti, e che cavolo.
Le parole sono importanti, ecchecazzo. Molto meglio.

Il secondo articolo parlava ancora di parole: secondo VA ci sono termini che vengono letteralmente “uccisi” dal momento in cui sono stati deposti a vantaggio di altri. Niente di nuovo, per carità; il vocabolario si evolve e le parole smettono di essere usate. Il problema sorge quando la parola scomparsa trascina con sé anche la morte del significato che contiene.
Non si adotta più il vocabolo “tristezza”: le persone avvinte da una sintomatologia prossima allo sconforto e alla malinconia vengono etichettate come depresse. "Depressione" è un termine contenitore che raccoglie ormai tutti i malesseri del mondo. E se la tristezza ha smesso di essere, anche gli uomini tristi non ci sono più.
Che grande perdita, però. Vittorino ha proprio ragione.


venerdì 13 marzo 2009

Mia sorella è una foca monaca

Leggo Mia sorella è una foca monaca di Christian Frascella, per Fazi, e rimango colpita da questo esordio narrativo.
La lettura è quella pomeridiana da divano Chateau d’Ax, con tanto di lascito delle ultime trenta pagine per la sera.
Penso: il mondo non ha bisogno di eroi, per sua grazia, e nemmeno dei cellulari. E questo l’autore lo mette bene in chiaro.
All’inizio della lettura, infatti, non capivo la smilza contestualizzazione temporale al 1989: un breve accenno alla caduta del Muro e poi basta. Se il protagonista parla come mio cugino che ha 16 anni nel 2009, perché ambientare la narrazione vent’anni prima? In fondo, il reparto gastronomia al supermercato c’è ancora oggi, così come chi si mette la foto di Mussolini sul desktop del computer.
Forse la ragione è che i cellulari non esistevano ancora?
Se lui, la Foca, il Capo, Chiara e tutti gli altri avessero avuto un telefonino in tasca o in borsa, il romanzo sarebbe stato senza dubbio più scialbo. Questo è un dato di fatto.
Per un diciassettenne con la testa di un diciassettenne e presunti poteri di fascinazione sul mondo, il vero eroismo è cercare il numero di telefono di Chiara, chiamare in piena notte e sperare che non siano i genitori a rispondere. Con un sms sarebbe stato tutto più facile, ma anche meno divertente, pungente e amaro.
Così ho trovato questo libro: divertente pungente amaro.
Poi ci sarebbe tanto altro da dire (sistema dei personaggi, dialoghi e stile), ma i miei post son brevi per partito preso. Complimenti all’autore, in ogni caso.

giovedì 26 febbraio 2009

Su “The Reader”

Non so se la colpa sia stata delle poltroncine troppo comode del cinema Ambrosio – che al secondo spettacolo incentivano più un lieto riposo che un'attenta visione –, ma ho trovato The Reader un film inutile. Uno di quei film di cui si poteva fare tranquillamente a meno, a discapito anche di un trasversale punto di vista sul tema dell'Olocausto.
La sceneggiatura cade troppo spesso in un ammiccamento fastidioso, a volte pure pretenzioso: il gioco seduttivo della prima parte (calcato da una nudità fin troppo esposta dei due personaggi) si risolve veloce e raffazzonato tra l'educazione sentimentale di Michael, da una parte, e quella letteraria di Hanna, dall'altra.
Ci si ritrova poi, di punto in bianco, con Michael che ha la faccia di Ralph Fiennes (come cambiano le persone nel giro di dieci anni...) e Hanna invecchiata dalla vita in carcere.
Tutte le questioni che il film potrebbe sollevare (il perdono, l'ignoranza, l'ignoranza e l'inconsapevolezza) vagheggiano per due ore e non trovano spiegamento.
L'Oscar è sempre Oscar, ma alla Winslet l'avrei dato per Revolutionary Road e non per questo.

lunedì 16 febbraio 2009

Prima persona singolare

Dopo il dilagare degli orribili, inutili rafforzativi “assolutamente sì”, “decisamente no” e robe simili (a tal proposito, specifico che non frequento neppure le persone che fanno uso di tali espressioni), la nuova moda del mal parlato sembra essere l’utilizzo della terza persona quando si parla di se stessi.
Forse sono state certe trasmissioni televisive che vantano linguaggi giovanilistici, o i social network che hanno imposto questo stile (Cristiana è uscita dall’ufficio, Cristiana è stanca, Cristiana ha un cane, Cristiana va a...), fatto sta che parlare di sé alla terza persona è brutto. Non si fa.

sabato 14 febbraio 2009

San Valentino

Una buona operazione commerciale sarebbe stata far uscire oggi nelle sale il film Revolutionary Road di Sam Mendes, in circolazione invece già da qualche tempo, piuttosto di Questo piccolo grande amore di non so chi.
Il film mi lascia le stesse sensazioni che provai alla visione di American beauty, pellicola da me amata e amata, tanto da rimanere un po’ spaesata di fronte a cotanto déjà vu.
I personaggi vivono il dramma che segue ogni presa di coscienza, e la drammaticità sta proprio nella mancata possibilità di condivisione (benché si sia in coppia o in famiglia).
Nessuno salva nessuno all’interno di un rapporto d’amore, e la consapevolezza, spesso, arriva in tempi diversi, se arriva.
Mendes inscena una pièce solo in apparenza corale; in realtà i protagonisti sono individui che agiscono da soli per tutta la storia.
Qualche particolare “di troppo”: la figura del matto come unico detentore di verità, le sigarette di April e, infine, Kathy Bates, che per me è ormai solo l’ex infermiera Annie e mi aspetto che da un momento all’altro prenda una trave per frantumare le gambe a qualcuno.

lunedì 26 gennaio 2009

Diktat

Magari non faccio bene, magari è questa la causa di tutti i mali del mondo, ma nel mio, di mondo, tendo a sostenere le sfumature per quanto riguarda le faccende di una certa importanza, e a preferire le posizioni nette su quelle più frivole (solo in apparenza, a dire il vero).
Finisce, così, che nel fantasticosmo da me abitato possono entrare solo le persone che:
- non leggono Topolino perché pensano sia il fumetto più brutto del mondo;
- non ascoltavano gli Oasis a metà degli anni ’90;
- non sono nate negli anni ’90.

sabato 24 gennaio 2009

Poetry in Turin

Nel 2006, nella bella Turin, si tenne la prima edizione del Festival Torino Poesia, che ancora oggi trascina con sé parecchie iniziative interessanti, tra cui le pubblicazioni delle Edizioni Torino Poesia.
Se la gente (e uso la parola “gente” mica a caso: generico quanto basta) si sente in diritto – alcuni addirittura in dovere – di scrivere cose per gli altri, ma gli altri non riconoscono il bisogno di leggere queste cose, figuriamoci se la stessa gente si cimenta nella poesia…
Ma chi ne ha voglia di trastullarsi nella lettura delle poesie di chicchessia e poi magari parlarne bene in pubblico?
Io, per esempio.
Così segnalo, con compiaciuta serenità rispetto alla segnalazione, il libro Temporali di Andrea Bonnin (qui), che è bello per tanti buoni (miei) motivi.
E all’autore chiedo: ma le poesie sono più facili da scrivere o no?

martedì 20 gennaio 2009

Mi chiamo Bruno

Stamattina mi sono svegliata e non ero più io.
Mi chiamo Bruno, ho quasi 37 anni, sono vestito di bianco e ho i capelli laccati, un vistoso anello al dito mignolo e vivo tra la Repubblica dominicana e Haiti in un paese dimenticato da Dio.
In una stanza con 17 gradi di aria condizionata e umidità al 75%, racconto da dieci anni la stessa storia, quella del ghiaccio con il buco, che non fa venire la dissenteria.
La gente non ride, io sì.
Mi chiamo Bruno, ho una faccia che svela chiari segni di scarsa intelligenza e da dieci anni faccio un lavoro di merda.