Una storia d'amore e libertà (ma non è Loach)
Sogno che al cinema Nuovo, a due passi da casa mia, danno l'ultimo film di Ken Loach. Il connubio è perfetto: devo camminare poco e Loach è uno dei miei registi preferiti.
Il giorno dopo propongo ad A., G. e I. di andare a vedere un film che non esiste in una sala che non è in funzione da chissà quanto.
Una volta scoperto l'inganno onirico, rimediamo con Ozon e il suo Ricky.
Il sottotitolo, in fondo, è molto loachano, e non solo quello. Si tratta di un film scomposto, a strati.
Si parte davvero con uno scenario, francesizzato, alla My Name Is Joe: il freddo, la fabbrica (di prodotti chimici tossici), la deriva emotiva, il quotidiano faticoso, la speranza alla porta (Paco, il nuovo amore?).
Poi arriva Ricky e i toni cambiano. Con le sue alette di pollo implumi, non sembra un angelo, ma una creatura bizzarra che un po' fa ridere, un po' fa senso.
E' una falena che non ha spazio per volare, un futuro essere infelice, con poca possibilità di sopravvivenza.
Allora non si ride più. Anzi, il finale è struggente, perché la libertà viene conquistata non certo senza scontare un prezzo alto.
Bello e triste, come una favola cinica e diretta.
Qualche nota sparsa:
- non amo i bambini che recitano (retaggio dei film di Shirley Temple), ma Mélusine Mayance (Lisa) è una meravigliosa bambina che recita;
- il film è tratto dal racconto di Rose Tremain, Moth ("falena");
- alla fine ho pianto, anche perché in sottofondo c'è la voce di Cat Power con The Greatest. E ho detto tutto.