Voce
Chi mi conosce sa che io non canto, o canto raramente. Faccio una fatica terribile, modulo male la voce, la sento nelle orecchie, le mie, come quando le si tappa e si comprende un suono che altrimenti solo gli altri riconoscono. Mi vergogno.
La mia unica esperienza in campo musicale risale all’età di sette anni quando, per tre mesi circa, ho fatto parte di un coro che si chiamava “Primavera”. Eravamo una trentina di bambini, tutti vestiti con un collo alto bianco di lana e pantaloni blu di velluto a coste. Solo due solisti e un prete che suonava la fisarmonica per delle cover improponibili dello Zecchino d’oro.
Cantavamo ogni sabato pomeriggio, dalle due fino alle sei, al Paradiso Studio’s, la discoteca di Castelletto d’Orba dove di giorno si ballava il liscio e alla sera la disco music anni Ottanta.
Il coro ebbe un inaspettato successo, tanto che TeleCity decise per una diretta di quattro ore, tutti i sabati dalle due. Un ballo, una canzone, un ballo, una canzone e così via fino alle sei.
In tutto questo, io ero la prima della terza fila dall’alto, a sinistra, e l’unica a non aprire bocca. Muta e impassibile, guardavo chi mi faceva i segni con le dita sulle labbra. La mia presenza andava al di là del fatto che fossi lì per cantare. Mi pareva giusto così, almeno fino a quando mia mamma, sfiancata, me lo impedì.
La mia unica esperienza in campo musicale risale all’età di sette anni quando, per tre mesi circa, ho fatto parte di un coro che si chiamava “Primavera”. Eravamo una trentina di bambini, tutti vestiti con un collo alto bianco di lana e pantaloni blu di velluto a coste. Solo due solisti e un prete che suonava la fisarmonica per delle cover improponibili dello Zecchino d’oro.
Cantavamo ogni sabato pomeriggio, dalle due fino alle sei, al Paradiso Studio’s, la discoteca di Castelletto d’Orba dove di giorno si ballava il liscio e alla sera la disco music anni Ottanta.
Il coro ebbe un inaspettato successo, tanto che TeleCity decise per una diretta di quattro ore, tutti i sabati dalle due. Un ballo, una canzone, un ballo, una canzone e così via fino alle sei.
In tutto questo, io ero la prima della terza fila dall’alto, a sinistra, e l’unica a non aprire bocca. Muta e impassibile, guardavo chi mi faceva i segni con le dita sulle labbra. La mia presenza andava al di là del fatto che fossi lì per cantare. Mi pareva giusto così, almeno fino a quando mia mamma, sfiancata, me lo impedì.
3 commenti:
ho una foto in cui sembra che io canti:sono all'asilo, nel coro (secondo da sinistra, in alto), con un triangolo in mano...e sbadiglio.
Avremmo fatto una splendida coppia noi due.
il duo pigrissia!
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