Il fantasma esce di scena

Mi chiedo se non mi stia accadendo la stessa cosa per Philip Roth.
Non ho ancora comprato Il fantasma esce di scena e già so che mi piacerà. Lo compro, lo leggo, e infatti non mi delude: il libro è bello, così poco sorprendentemente bello. Anzi, è molto bello. D'altra parte l'ha scritto lui, Philip Roth, che renderebbe mirabile anche la lista della spesa. O no?
Nathan Zuckerman ha 71 anni. Anziano incontinente impotente, ha scelto undici anni di vita lontano da New York – la New York dei due governi Bush e dell'11 settembre – e ora vi fa ritorno, la osserva come un fantasma dietro le quinte, e scopre molto semplicemente che ci sono eventi, stati d'animo, oggetti provvisori e mutevoli che convivono con quelli più indelebili.
La paura non è più quella di un tempo, così come i telefoni (che bella la pagina sui cellulari); il desiderio resiste, invece, insieme al piccolo ristorante italiano dove Nathan andava sempre a pranzare.
«Tu parti mentre gli altri, cosa niente affatto sorprendente, restano dove sono e continuano a fare le cose che hanno sempre fatto; e quando torni ti meravigli e provi un brivido fugace nel vedere che sono ancora lì, e ti senti rassicurato dal fatto che c'è qualcuno che passa tutta la vita nello stesso posto e non ha nessuna voglia di andare via».
Philip Roth, Il fantasma esce di scena, Einaudi, Torino 2008

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