venerdì 17 ottobre 2008

Il fantasma esce di scena

A 17 anni mi venne il pallino per García Marquez e trovai memorabili letture che oggi, con il senno di poi, non so se mi piacerebbero ancora così tanto.
Mi chiedo se non mi stia accadendo la stessa cosa per Philip Roth.
Non ho ancora comprato Il fantasma esce di scena e già so che mi piacerà. Lo compro, lo leggo, e infatti non mi delude: il libro è bello, così poco sorprendentemente bello. Anzi, è molto bello. D'altra parte l'ha scritto lui, Philip Roth, che renderebbe mirabile anche la lista della spesa. O no?

Nathan Zuckerman ha 71 anni. Anziano incontinente impotente, ha scelto undici anni di vita lontano da New York – la New York dei due governi Bush e dell'11 settembre – e ora vi fa ritorno, la osserva come un fantasma dietro le quinte, e scopre molto semplicemente che ci sono eventi, stati d'animo, oggetti provvisori e mutevoli che convivono con quelli più indelebili.
La paura non è più quella di un tempo, così come i telefoni (che bella la pagina sui cellulari); il desiderio resiste, invece, insieme al piccolo ristorante italiano dove Nathan andava sempre a pranzare.

«Tu parti mentre gli altri, cosa niente affatto sorprendente, restano dove sono e continuano a fare le cose che hanno sempre fatto; e quando torni ti meravigli e provi un brivido fugace nel vedere che sono ancora lì, e ti senti rassicurato dal fatto che c'è qualcuno che passa tutta la vita nello stesso posto e non ha nessuna voglia di andare via».

Philip Roth, Il fantasma esce di scena, Einaudi, Torino 2008






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