giovedì 3 gennaio 2008

Abbaino

Tutta questa neve fa della mia camera ovadese una stanza buia. Ho dormito troppo stamattina perché sembrava ancora notte, e il pomeriggio di lavoro ininterrotto mi è parso una serata a Torino, davanti alla mela luminosa, a rivedere e correggere parole di altri.
Oggi son quelle di Paulo Freire, che racconta cosa significhi vivere da esiliati in una maniera che mi commuove (va beh che oggi mi commuovo facile). Gli mancava l'ossigeno brasiliano: a La Paz l'altitudine è violenta, la nostalgia pure quando si è lontani da ciò che si ama.
«Il mio corpo si muoveva di nuovo come prima, facilmente, in fretta, senza sentire stanchezza. A La Paz, portare un pacco, anche piccolo, esigeva uno sforzo straordinario da me. A 43 anni mi sentivo vecchio e spossato. Ad Arica, e il giorno dopo a Santiago, recuperai le forze e tutto avvenne all’improvviso, come per magia. Viva l’ossigeno!
Arrivai in Cile sentendomi pienamente me stesso. Passione, nostalgia, tristezza, speranza, desiderio, sogni infranti ma non sfatti, offese, conoscenze accumulate, negli innumerevoli intrecci vissuti, amore per la vita, timori, paure, dubbi, voglia di vivere e d’amare. Soprattutto, speranza».
Paulo Freire


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