Santo Stefano
E per pensare a dove si era un anno prima.
Puntualmente, porto a termine entrambe le azioni con eccellenti risultati: sia santificato il Plasil e buon Natale anche a te!
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Per il ragionier Fantozzi, una volta andato in pensione, i giorni diventano tutti uguali, eccetto il sabato e la domenica: il fine settimana è la legittimazione sociale del riposo.
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«Tu parti mentre gli altri, cosa niente affatto sorprendente, restano dove sono e continuano a fare le cose che hanno sempre fatto; e quando torni ti meravigli e provi un brivido fugace nel vedere che sono ancora lì, e ti senti rassicurato dal fatto che c'è qualcuno che passa tutta la vita nello stesso posto e non ha nessuna voglia di andare via».
Philip Roth, Il fantasma esce di scena, Einaudi, Torino 2008
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L’ho presa tra le braccia e l’ho spinta in alto sull’altalena. Lei ha riso e riso e riso. Abbiamo costruito castelli sulla sabbia, castelli giganti e castelli piccolissimi e castelli medi. E abbiamo riso e riso e riso. I castelli si ergevano orgogliosi sulla sabbia, e bellissimi. Erano dipinti di ogni colore e sfumatura mai vista a questo mondo: verde, nero, bianco, rosso, giallo, azzurro, viola, nocciola, ambra, grigio, marrone… mille colori e diecimila sfumature e un arcobaleno fatto di dieci arcobaleni.
E lei ha riso. E io ho riso. E lei ha riso. E io le ho detto: «Tere, un giorno ti sposerò e costruirò un castello come questo. Il più bel castello del mondo, di mille colori, con la musica giorno e notte. Per me e te soli».
Biyi Bandele, Nudo al mercato, Edizioni gorée, Iesa 2007
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Considerando il fatto che qui, nella casa di Hilde, non ho libri nuovi e considerando pure che qui, nell’amena Ovadacity, non esiste una libreria, vado a cercarmi qualcosa da leggere al Bennet di Belforte (detto anche il “Bennet grande”).
Non sto a riflettere sull’affascinante non-logica che circonda il reparto libreria di un ipermercato, e così mi fiondo sui volumi della hit-parade – i libri “da letto” – esposti vicino a grandi numeroni adesivi. Opto per il numero 2, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Il motivo è uno solo: tutte le persone di mia conoscenza che l’han letto lo hanno definito “scorrevole”, ed è quello che ci vuole ora.
Il libro non ha niente che non vada, è davvero scorrevole nel senso che scivola via come le pagine di una rivista, lasciando quella sensazione di lettura di passaggio, innocua.
Lo scrittore è giovane, 25 anni, e questo è il suo primo romanzo; eppure vince il Premio Strega ed è uno dei libri più letti dell’ultimo anno, in classifica da gennaio.
Mi chiedo allora che pubblico ci sia fuori di qui, quali sono i nuovi lettori e cosa vogliono quando vanno a comprare un libro. Ma cosa volete?
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Mentre aspetto nuovamente il mio premio di consolazione, mi affido alle parole di Jean-Claude Izzo, visto che io sono rimasta senza. Qui son quelle di un racconto inedito scritto per la rivista Regards, n. 19, dicembre 1996: “La cena di Natale di Fabio Montale, l’ex sbirro dei quartieri Nord di Marsiglia”.
«Passerà» dissi a Fonfon raddrizzandomi.
Lasciai vagare il mio sguardo sul mare. Verso l’orizzonte. Non avevo ancora trovato di meglio per dimenticare la schifezza del mondo.
Joëlle alzò gli occhi verso di me. Aveva occhi neri, splendidi. Avrei potuto essere un buon padre per lei? Oppure un bravo amante? Sarei riuscito a spiegarle la paura? Mossi la testa. Come per dire sì.
Sì, Joëlle. Più si va in fondo alle cose e più la differenza fra felicità e infelicità si attenua.
Sì, forse questo sarei riuscito a spiegarglielo.
Vuotai il bicchiere tutto d’un fiato e mi alzai. Avevo voglia di andare a perdermi dentro Marsiglia. Nei suoi odori. Negli occhi delle sue donne.
La mia città. Sapevo che lì avevo sempre appuntamento con la felicità effimera degli esuli. La sola che mi andava bene. Un vero premio di consolazione.
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«Ils n'ont pas compris-et je me dis parfois que je me suis mal fait comprendre».
Sarà così; così come disse Camus in giro per Vicenza. Se gli altri non capiscono è forse colpa nostra che non ci siamo fatti capire, anzi, che ci siamo fatti comprendere male.
La cosa vale anche quando sono io a non capire, certo. O no?
Non ne vengo a capo.
Soccorrimi e illuminami tu, Albert, signore della chiarezza.
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Tra gli impossibili lavori alternativi che vorrei fare – subito dopo la copywriter di pubblicità della Lidl – domenica sera si è aggiunto anche la corista di Leonard Cohen al Summer Festival di Lucca. Certo, si tratterebbe del lavoro di una sola giornata, ma sicuramente sarebbe foriero di grandi soddisfazioni. Ad esempio, potrei indossare una camicetta bianca con le maniche corte a palloncino e un elegante gilet nero, e duettare con Cohen sulle note di I'm your man. Cose non da poco, insomma. In ogni caso, io c'ero e tanto basta. E avanza pure. Serata memorabile, voce indimenticabile.
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Il bagnetto a K., prima della sua partenza per le vacanze estive (sua, sia ben inteso: io rimango a casa), si articola in tre fasi: insaponamento con original-Marsiglia, risciacquo e asciugatura al sole.
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Dopo l'ennesima multa, 160 € e 5 punti in meno,
dopo il primo bagno dell'anno e un inizio di tempo bello,
dopo un aulin per il dolore a un dente,
dopo l'ultimo caffè della giornata,
mi ascolto ancora i Massimo Volume, spengo il mac e provo a ripartire.
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Scopro che Paolo Conte fa la Settimana Enigmistica come me, che la gelosia è una brutta sensazione di fastidio epidermico (come il prurito), che il sonno è l'altra metà della nostra vita e che la consapevolezza non sempre è un bene. E tutto questo solo nell'ultima settimana.
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E' vero che mia madre vive in un mondo di nuvole e confusione, ma un paio d'anni fa, quando sentì in televisione che Ronald Regan era morto, guardò me e mio padre stupita e ci disse: "E' morto Regan?". La domanda, a ripensarci, fa ancora ridere adesso. Regan morì nel 1989.
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Hanno gli squamosi, guizzanti pesci, giù
nelle loro dimore senza fuoco
notizia del calar della notte? Forse no.
Ma chi in terra cammina
e tutti coloro cui le penne
danno la piena libertà del cielo
mutano modi all’imbrunire,
dando retta ciascuno ad una sua
curiosità di specie. Più comune è che il moto
s’attenui, e gli altri sensi, ma non mancano
stravaganti eccezioni: così il gatto
e il gufo, non appena
cede il giorno alle tenebre, più grandi
fanno i loro pensieri, e per dar vita
o toglierla
si mettono in cammino.
Giovanni Raboni
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Vivere da solo mi permetteva anche di esprimere i sentimenti che provavo veramente, senza dovermi nascondere sotto una maschera virile o matura o filosofica. Da solo, quando avevo voglia di piangere piangevo, e mai ne ebbi più voglia di quando tirai fuori dalla busta la serie di immagini del suo cervello [...] solo perché era il suo cervello, il cervello di mio padre, che lo spingeva a pensare nel modo brusco in cui pensava, a parlare nel modo enfatico in cui parlava, a ragionare nel modo emotivo in cui ragionava, a decidere nel modo impulsivo in cui decideva. Questi erano i tessuti che avevano prodotto la sua serie interminabile di preoccupazioni e sostenuto per oltre otto decenni la sua testarda autodisciplina, erano l'origine di tutto ciò che, quand'ero il suo figlio adolescente, mi aveva tanto frustrato, la cosa che aveva determinato il nostro destino quando lui era onnipotente e decideva per noi.P. Roth, Patrimonio. Una storia vera, Einaudi, Torino 2007.
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«Il mio corpo si muoveva di nuovo come prima, facilmente, in fretta, senza sentire stanchezza. A La Paz, portare un pacco, anche piccolo, esigeva uno sforzo straordinario da me. A 43 anni mi sentivo vecchio e spossato. Ad Arica, e il giorno dopo a Santiago, recuperai le forze e tutto avvenne all’improvviso, come per magia. Viva l’ossigeno!
Arrivai in Cile sentendomi pienamente me stesso. Passione, nostalgia, tristezza, speranza, desiderio, sogni infranti ma non sfatti, offese, conoscenze accumulate, negli innumerevoli intrecci vissuti, amore per la vita, timori, paure, dubbi, voglia di vivere e d’amare. Soprattutto, speranza».Paulo Freire
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